Dott.ssa Donatella Romanelli - Psicologa e Psicoterapeuta a Losanna
Articolo di: Dott.ssa Donatella Romanelli
Sono una psicologa e psicoterapeuta, con una passione per la scrittura.
Svolgo la mia attività in Puglia (Italia). Ricevo i miei pazienti anche tramite un servizio di consulenza psicologica online. Potete contattarmi al numero di tel. +39 345 0362377.
 

Quando nasce un bambino, una madre si trova a dover svolgere tanti nuovi compiti – come ad esempio l’allattamento, tenerlo in braccio nel modo corretto, la cura del neonato, i continui cambi del pannolino e le agognate ninne.

Le angosce del bambino.
Le angosce del bambino.

Tra queste nuove competenze ce n’è una davvero essenziale e delicata per lo sviluppo emotivo del bambino, di cui, purtroppo, poco si parla e su cui mi vorrei soffermare.

Parliamo di rêverie materna, come l’ha denominata Wilfred Bion, famoso psicoanalista britannico.

La rêverie è la capacità della madre di contenere le angosce del proprio bambino, di dargli un significato e di restituirgliele già digerite (e quindi più tollerabili); per dirla in altri termini, è la capacità materna di “prestare la propria mente” al bambino.

La madre, infatti, ha una mente già formata per comprendere sé stessa e le proprie emozioni. Il neonato, invece, non ha ancora gli strumenti per capire le sue angosce, le sue paure e i suoi pianti. Ed è per questo motivo che i pensieri del bambino, per prendere forma, hanno bisogno della mente di una madre che dia un continuo significato a quello che lo circonda. È come se il bambino dicesse “mamma prenditi le mie paure e aiutami a pensare“.

Facciamo un esempio che riguarda i primi mesi di vita di un neonato.

La situazione è questa: c’è un neonato in preda a una crisi di pianto perché ha dei doloretti al pancino. Questo gli fa paura perché non sa da dove arriva quel dolore e perché si sente in quel modo.

Bimbo che piange in braccio alla mamma.

Ipotizziamo ora due tipi di madri che reagiscono alle angosce del bambino in modo differente l’una dall’altra. Per facilitare l’esposizione chiamiamo le due mamme A e B.

Mamma A:

Comprende tempestivamente i motivi del pianto e non si lascia spaventare dallo stato di agitazione in cui verte il neonato. Questa madre, con molta calma e serenità, prende in braccio il suo bambino, lo accarezza e poi gli sussurra: “Hai solo qualche doloretto al pancino, stai tranquillo, presto passerà!”.

Mamma B:

Sentendo strillare il suo bambino, questa madre entra in ansia e inizia a dirgli: “Ma che hai? Perché fai così? Non piangere più, ti prego, smettila!”.

La madre del primo esempio (A) è stata in grado di contenere e tenere dentro di sé la paura del suo bambino e di restituirgliela in modo meno spaventoso. Tra l’altro, ha dato alla paura un nome specifico, “doloretto al pancino”.

La madre del secondo esempio (B), invece, non solo non contiene la paura del neonato, ma l’amplifica e gliela restituisce con maggiore violenza (la paura adesso è doppia: la sua e quella della mamma). Tra l’altro, questo bambino avverte un senso di solitudine nella gestione delle sue emozioni; capisce presto che la madre non è capace di sostenerlo.

La mamma A, grazie alla sua struttura psichica, sta aiutando il suo bambino ad avere dei pensieri (“quando mi sento così è perché ho i doloretti”), dandogli anche la possibilità di mettere dentro di sé una mamma stabile, che sa accogliere le sue paure senza “frantumarsi” (il bambino potrà far riferimento alla madre interna durante i momenti di separazione). Per poter fare questo, però, la madre deve essere in grado di rappresentare già nella propria mente gli stati del bambino: si tratta di un’altra capacità su cui ritornerò in un altro momento, che viene chiamata “funzione riflessiva” o “mentalizzazione” (Fonagy, Target, 2001) senza la quale il bambino sperimenterebbe “cose che non hanno senso” in uno stato di “terrore senza nome” (Bion, 1962).  Questo è quello che può aver provato il neonato della mamma B. 

Bisogna tenere a mente però che, questa divisione tra le due mamme, non è sempre così netta e rigida. Può succedere a tutte le mamme A di avere dei momenti come quelli della mamma B, e viceversa. La cosa importante è che queste risposte negative non si ripetano in modo costante e continuato nel tempo. Solo in quest’ultimo caso possono indicare gravi carenze di rêverie materna e compromettere un sano sviluppo psicologico del bambino.

Bibliografia:

Fonagy P., Target M. (2001), Attaccamento e funzione riflessiva, Raffaello Cortina Editore, Milano.

Bion W. (1962), Apprendere dall’esperienza, Armando editore, Roma.

Waddel Margot (2000), Mondi interni. Psicoanalisi e sviluppo della personalità. Bruno Mondadori.

Autore dell'articolo: Dott.ssa Donatella Romanelli