Dott.ssa Donatella Romanelli - Psicologa e Psicoterapeuta a Losanna
Articolo di: Dott.ssa Donatella Romanelli
Sono una psicologa e psicoterapeuta, con una passione per la scrittura.
Svolgo la mia attività in Puglia (Italia). Ricevo i miei pazienti anche tramite un servizio di consulenza psicologica online. Potete contattarmi al numero di tel. +39 345 0362377.
 

L’altro giorno ero intenta a pulire la vasca da bagno. Poco dopo le miei figlie avrebbero nuotato immaginando una piscina.

Dopo aver disinfettato si è creata una schiuma che ho cercato di mandare via con la pressione del doccino.

Spingevo l’acqua e la schiuma nello scarico.

L’acqua non andava via. Continuava a girare intorno a quel foro senza volerne sapere di andarsene rapidamente. Faceva dei giretti. Restava là attorno. A volte il moto sembrava arrestarsi. Poi all’improvviso, quando l’acqua era pronta, scappava via rapidamente facendosi inghiottire beatamente dalle tubature.

Ho cominciato a litigare con lei.

L’ho spinta con la mano, l’ho schiacciata sperando che la pressione accelerasse il suo moto, e poi mi sono arresa.  “Qui ci vuole uno sgorgante bello forte, c’è qualcosa che non va, perché l’acqua è così lenta?”.

“L’acqua ha i suoi tempi!” mi dice mia figlia di nove anni quasi rimproverandomi.

“Cosa?” le chiedo.

“L’acqua ha i suoi tempi per scorrere, devi solo aspettare”.

Quella frase mi fa riflettere.

Visualizzo la mia impazienza, stavo imponendo i miei tempi all’acqua?

I tempi dell’acqua sono diversi dai miei.

Penso alla situazione che stiamo vivendo: costretti a casa senza poter incontrare gli altri.

“Ma quando partirà questo virus?”  mi chiede mia figlia di cinque anni.

“Ma quando finirà tutto questo?”, “Tra quanti mesi potremo tornare alla «normalità»?” ci chiediamo un po’ tutti.

Penso ai tempi delle stagioni. In inverno la natura si addormenta, si ferma. Gli alberi sono spogli, molti animali in letargo. La natura sa quello che deve fare, riposa per poi ritornare più rigogliosa e colorata in primavera.

Eppure, molte volte non ho saputo godermi la pioggia, gli alberi silenziosi, la staticità dei paesaggi. Ho desiderato che fosse subito primavera. Mi sono persa il presente.

Ho pensato ai lunghi viaggi in macchina per andare in vacanza e al modo di affrontarli di  quando ero bambina e di molti bambini: “Ma quando arriviamo?” (domanda posta nonostante siano passati solo cinque minuti dalla partenza e ripetuta a intervalli regolari di quindici minuti).

Il viaggio in macchina era già la vacanza. Non dovevo per forza arrivare per sentirmi felice. I paesaggi fuori dai finestrini volevano solo essere ammirati. Le parole e i dialoghi in macchina si combinavano in intrecci nuovi che andavano goduti.

Potevo scoprire cose nuove della mia famiglia e di me stessa durante i viaggi.

Una volta mio padre mi chiese di inventare una poesia sulle Alpi che si imposero ai nostri occhi. Mio padre lavorava molto e non aveva tempo per ascoltarmi. Durante quel viaggio fu possibile. Mi ascoltò anche se i suoi occhi guardavano la strada. Insieme creammo una poesia che includeva montagne, cielo e nuvole.

Ho pensato alle donne durante l’ultimo periodo della gravidanza: “ma quando nasce, non riesco più ad aspettare!”

Mi è venuto in mente quando incontro un nuovo paziente. All’inizio del percorso psicologico, ma anche durante, i pazienti pongono spesso la domanda: “Dottoressa ma quanto dura la terapia?”; “Quando guarirò?”; “Quanto tempo ci vuole per eliminare i sintomi?”.

I percorsi terapeutici a volte sono lunghi e non è detto che la meta sia la fine del percorso.

Riuscire a stare nel processo, nella relazione con il terapeuta, accettare che ci vuole del tempo per stare meglio, accrescere la pazienza, sono già capacità nuove che il paziente sta sviluppando e che fanno parte della cura.

Tutte queste situazioni sembrano avere delle analogie sempre più forti con il momento che stiamo vivendo a causa del Coronavirus. Un periodo di sospensione che non sappiamo quando finirà e che non riusciamo più a tollerare.

Tutti vorremmo che questa paura andasse via, che questa domenica senza fine finisse, che questo “qui e ora” bloccato in una fotografia si muovesse. Tutti vorremmo che il virus non facesse più vittime. Vorremmo poter ritornare subito a quella che eravamo abituati a definire “vita normale”: scuola, lavoro, amici, passeggiate senza ansia.

Anch’io vorrei che il Coronavirus si mescolasse con l’acqua e la schiuma e venisse risucchiato dallo scarico.

Eppure, quello che vogliamo in tempi brevi non è realizzabile. Accelerare i tempi potrebbe essere pericoloso.

Quindi non penso che la domanda giusta sia “ma quando finirà tutto questo?”

Questa domanda, seppur lecita, ha in sé l’irrequietezza di non saper attendere, di non saper accettare i tempi che un processo richiede.

Forse potremmo provare a sostituire la domanda “ma quando finirà tutto questo?” con “come posso vivermi tutto questo?”.

“Come posso affrontare questo viaggio lento, questo viaggio che fa paura, questo viaggio inaspettato?” “Cosa  mi può dare questo viaggio?”

Questo tipo di domande potrebbe favorire una posizione di maggiore accettazione, calma e pazienza.

I viaggi, anche quelli più lunghi, stancanti e faticosi, finiscono. Questo è certo. Ritorneremo a socializzare con gli altri, al lavoro e i nostri figli riprenderanno ad andare a scuola.

Se riusciamo a “stare nelle cose”, a “stare nel presente”, l’acqua scorrerà anche senza il nostro intervento.

Ora potrebbe sembrarci tutto fermo e ciò ci opprime. Ci sentiamo bloccati.

Eppure, le relazioni con gli altri si sviluppano anche per altri canali e il nostro mondo interno si muove. Come dicevo non è sempre possibile rendercene conto, ma tutto si muove come l’acqua che lentamente scorre.

L’acqua ha bisogno dei suoi tempi per scorrere così come il Coronavirus ha bisogno dei suoi tempi per essere combattuto, i medici hanno bisogno di tempo per creare un vaccino, ci vuole del tempo per rivedere amici e parenti in sicurezza.

Noi stessi abbiamo bisogno dei nostri tempi per adattarci alla situazione, per imparare a vivere con emozioni spiacevoli o nuove, per trovare le risorse migliori per far fronte psicologicamente a tutto questo. Probabilmente una volta che l’emergenza del Coronavirus sarà finita, avremo bisogno di tempo per stare meglio e per ritornare alla “normalità”.

Autore dell'articolo: Dott.ssa Donatella Romanelli